Salvatori: nascita e rilancio del brand
"Il sogno è il primo passo per arrivare a qualsiasi cosa"
Ne abbiamo parlato con Gabriele Salvatori.
Secondo il suo parere cosa rende tanto speciale la pietra naturale?
Potrei sembrare di parte, ma credo sinceramente che non esista un materiale più bello. L’estetica è sempre soggettiva, ma il fatto che Madre Natura abbia creato alcune pietre così semplici e classiche e altre ricche di venature e colori mi affascina. Poi c’è la storia: ogni blocco, ogni lastra, ogni singolo pezzo è assolutamente unico e creato nel corso di milioni di anni. Tutto questo è incredibile e ci fa sentire piccoli.
Perché consiglierebbe ad un architetto o a un cliente di scegliere la pietra naturale e soprattutto, perché pietra naturale Salvatori?
Per tutti i motivi che ho appena descritto e anche per la sua longevità. La pietra è incredibilmente resistente all’usura, basta pensare ai più famosi edifici o sculture per capire quello che intendo.
Salvatori va scelto prima di tutto, perché conosciamo la pietra dentro e fuori. Mio nonno ha fondato l’azienda circa 75 anni fa, oggi l’azienda è arrivata alla terza generazione e mio figlio Gianmarco sta già chiedendo quando potrà entrarne a far parte. Ma ha solo 13 anni e c’è ancora tempo… Oltre all’esperienza, un altro motivo è la nostra capacità di combinare design e funzionalità e di creare prodotti senza tempo. Detestiamo rispondere “non si può fare” quando gli architetti ci mostrano un progetto ed è così che siamo diventati esperti nel trovare soluzioni fuori dall’ordinario. Le persone del nostro team tecnico sono maghi in questo.
Aggiungo un altro motivo che oggi è più importante che mai nei settori della costruzione e del design: la sostenibilità. Abbiamo già fatto tanto con prodotti come Lithoverde e la finitura Lost Stones che danno nuova vita a materiali destinati allo smaltimento o dimenticati; la nostra ricerca di verso nuovi sistemi per ridurre l’impatto ambientale è costante.
Da dove proviene la sua passione per l’innovazione?
Da mio padre e ancora prima di lui da mio nonno! È nel nostro DNA. Ad esempio, negli anni ‘50, mio nonno ha inventato la tecnica “spaccatello”, così come mio padre è sempre stato alla ricerca di macchinari nuovi: la maggior parte di quelli che usiamo per creare le nostre finiture li ha inventati lui. Penso di aver preso da lui, amo spingermi oltre i confini per vedere cosa si può fare in termini di design.
Il Made in Italy è ora un marchio globale. Perché pensa che lo sia e perché Salvatori rientra in questa categoria?
Penso che le persone amino il Made in Italy perché è sinonimo di grande design, nel senso più ampio del termine. Ciò che intendo dire abbraccia sia il lato estetico che funzionale. Ovviamente, se non ci fosse la qualità a supportare queste caratteristiche parleremmo del nulla. È un mix perfetto di qualità e design. Salvatori racchiude e valorizza entrambi gli aspetti. Prima di uscire dallo stabilimento, ogni prodotto viene controllato e verificato con mano. Naturalmente il punto principale è che deve essere bello!
La sostenibilità e il rispetto per l’ambiente sono sulla bocca di tutti e ogni marchio usa queste parole. Quanto sono importanti per voi e cosa fa concretamente Salvatori per fare la differenza?
Come ho detto prima, crediamo fermamente nella sostenibilità. Ho parlato di alcuni dei nostri prodotti, ma sono anche le azioni quotidiane che facciamo che sono volte a ridurre l’impatto che, sia come azienda, sia come individui, abbiamo sull’ambiente. È un processo lungo, non è come “spuntare una casella” di un elenco di cose da fare per poi non pensarci più. Facciamo grandi cose come riciclare la pietra e l’acqua e lavoriamo sodo per introdurre soluzioni alternative agli imballaggi che siano ecologiche e con certificazione FSC, ma anche piccole cose come l’aver bandito le bottiglie e i bicchierini di plastica del caffè dagli uffici: ogni piccolo gesto si somma a un altro ed è questo insieme che fa la differenza.
Riduciamo l’uso della carta puntando sui cataloghi elettronici e riducendo il numero di stampati. È stata un’iniziativa non facile perché nei settori del design e del lusso, un bel catalogo stampato viene visto come una specie di biglietto da visita per i brand di fascia alta.
Nel mondo di oggi dominato dalla produzione di massa e dalla tecnologia, quanto è difficile trovare un equilibrio fra rispondere alla richiesta in aumento dei vostri prodotti e mantenere l’approccio artigianale del lavoro manuale?
In realtà per noi non è così difficile. Non offriamo un prodotto per il mercato di massa e preferiamo la qualità alla quantità. Usiamo macchine per tagliare la pietra perché il taglio manuale è un processo molto lungo e lento, ma nessuna macchina gestita da computer, neanche la più sofisticata, potrà mai sostituire il tocco umano nella lavorazione. Alcuni dei nostri collaboratori sono con noi da 30 anni. Conoscono la pietra dentro e fuori e riescono a individuare un difetto da 100 metri di distanza. Ogni singolo pezzo viene controllato più volto e infine rifinito a mano.
Qual è stato il cambiamento più importante negli ultimi anni relativamente alla percezione del marchio Salvatori?
Direi che sia stato il passaggio dall’essere una “azienda del settore della lavorazione della pietra” a un “marchio di design”. È stata una transizione voluta e consapevole che abbiamo messo in atto a partire dall’ampliamento della nostra Home Collection. Prima eravamo conosciuti soprattutto per le finiture con superficie lavorata, ma dopo aver iniziato a sviluppare tavoli, mobili, lampade e complementi di arredo, abbiamo attirato l’attenzione del consumatore finale che poteva avere a casa un pezzo di Salvatori senza dover necessariamente rifare il pavimento del bagno.
Qual è la visione di Salvatori per i prossimi dieci anni?
Posso parlarle dei miei sogni, in fondo il sogno è il primo passo per arrivare a qualsiasi cosa. Ecco, sogno un’azienda che sia leader nel settore del design a livello internazionale.
Un’azienda nella quale le persone siano felici di lavorare, dove ognuno possa dare il suo contributo per raggiungere gli obiettivi condivisi, dove parte del denaro che guadagniamo torna all’ambiente e al contesto sociale in cui viviamo e a cui contribuiamo, dove la sostenibilità sia al centro di tutte le nostre azioni e non solo riferita ai prodotti. Voglio un’azienda che non abbia paura di farsi portavoce di una tecnologia che ci aiuti ad appianare le differenze tra le persone interne all’azienda, tra l’azienda e i suoi partner esterni, i clienti, i fornitori ai quali ci affidiamo affinché tutti possano esprimere ciò che siamo. Un’azienda che sappia usare la tecnologia in modo da creare processi sempre più efficienti e che renda ancora più facile per i nostri clienti utilizzare i nostri prodotti.
Un’azienda dove le persone sentano realmente di essere parte di qualcosa di grande e di speciale.
Negli ultimi anni avete aggiunto nel vostro repertorio di materiali il legno e il metallo. Qual è il pensiero dietro alla decisione di non lavorare solo la pietra?
Negli anni ci siamo resi conto come il nostro stile sobrio ma raffinato potesse facilmente svilupparsi anche in altri spazi, come per esempio il bagno, oppure in altri complementi o soluzioni per la casa, come elemento d’arredo.
Ho capito che essere “solo un fornitore di pietra” non risolvesse un problema comune agli architetti e ai clienti che si vedevano costretti a visitare altri negozi con in mano un campione della pietra che avevano scelto per la parete o il pavimento per trovare un armadio o un tavolo che si abbinasse.
Così ho pensato che fornire un portfolio completo di prodotti, che avessero tutti in comune le stesse tonalità di colore e lo stesso stile, potesse essere una soluzione molto apprezzata e bene accolta dai clienti.
Prima di tutto perché gli avrebbe consentito di risparmiare parecchio tempo e inoltre gli avrebbe permesso di abbracciare l’idea di un “total look”. Ciò non significa che tutto debba far parte della stessa collezione, ma che ci debba comunque essere una sorta di coerenza in modo che ogni elemento di un locale condivida la stessa energia e si armonizzi con gli altri, tanto da diventare uno spazio olistico e condividerne, per così dire, il sapore.
Spesso lavorate con designer esterni come Pawson, Anastassiades, Lissoni. Come scegliete i vostri partner?
Questi sono alcuni fra i nomi più noti nel settore, ma non è questo l’aspetto più importante. Ci piace lavorare con i designer che condividono la nostra visione estetica, semplice ed elegante, e a cui piace mettere in discussione le proprie idee perché è questo che spesso porta ai risultati migliori. È piuttosto difficile da descrivere, è un processo che coinvolge la relazione interpersonale, il modo in cui ci si ispira reciprocamente. Non c’è una vera e propria regola.
Quali sono i criteri per cui un prodotto possa diventare “Salvatori”?
Deve essere bello, adatto alla funzione e atemporale. Non ci interessano le tendenze passeggere o saltare sul treno dell’ultima moda. Deve essere anche, per così dire, sorprendente ma in un modo che faccia dire “perché nessuno ci aveva pensato prima?” per la sua immediata naturalezza nella applicazione, una volta finito.