Il design sostenibile esiste: ecco come riconoscerlo
Un oggetto di design è sostenibile quando nasce dal pianeta e vive a lungo
Come riconoscere il design sostenibile
Il design sostenibile esiste davvero? Di questi tempi il concetto di sostenibilità è ormai onnipresente, al punto da diventare una parola spesso priva di significato. Associata al design, la sostenibilità ha un senso? Può, e se sì, in che modo, il design essere sostenibile?
La risposta è affermativa. Il design sostenibile esiste e si snoda secondo due principi: la circolarità e la durata. A questi si aggiunge l’etica e l’attenzione nei processi produttivi e negli imballaggi. Ecco come si comporta Salvatori nel panorama del design sostenibile, sempre più necessario per salvaguardare l’unica casa di cui disponiamo: il pianeta Terra.
La sostenibilità nel design: cos’è e come si riconosce
Il design sostenibile esiste e ha un paio di caratteristiche ricorrenti. La prima è la materia. Quella di origine naturale non ha bisogno di un processo industriale per esistere, l’unico processo che richiede è quello che dà forma all’oggetto: una marmetta, ad esempio, ha bisogno di essere tagliata, non di essere creata dal nulla. L’eco design punta sull’utilizzo di materie prime esistenti in natura ed è responsabilità nostra sceglierle a scapito di materiali artificiali.
La seconda caratteristica è la circolarità dei materiali utilizzati nella creazione del prodotto. Un oggetto è più sostenibile se è composto da materia scartata, altrimenti destinata allo smaltimento. Salvare materiale di scarto significa cancellare il consumo di energia e quindi la produzione di gas dannosi per l’ambiente necessari alla rottamazione stessa.
È compito del designer considerare gli oggetti esistenti e dar loro una seconda vita, trasformandoli in altro. I giapponesi lo chiamano Wabi-Sabi: il pensiero secondo cui ogni cosa può rinascere e esistere al di fuori di sé e della sua prima vita.
Di questa filosofia ne è massimo esempio la collezione Lost Stones creata con Piero Lissoni da Gabriele Salvatori: a frammenti di lastre in marmo altrimenti inutilizzate, viene applicata la tecnica Kintsugi, antica arte giapponese che significa “riparare con l’oro”.
Generalmente utilizzata sulla ceramica, Salvatori è riuscita ad applicarla ad una pietra nobile come il marmo. “Abbiamo cercato marmi in ogni deposito possibile e immaginabile: abbiamo trovato rimasugli dello stesso marmo usato da Mies Van der Rohe nel Barcelona Pavillion, alcuni blocchi dello stesso marmo usato nella cattedrale di Notre Dame, o poche lastre di un altro marmo usato nella basilica di S. Pietro nel 500”, racconta Gabriele Salvatori.
Questi materiali sono “poesia” e vale la pena riportarli in vita. Il risultato sono rivestimenti in cui viene esaltata l’imperfezione delle finiture perfette sia per pareti che per pavimenti, l’ideale per rendere ogni stanza unica e speciale senza rinunciare alla sostenibilità.
La circolarità della materia rende sostenibile il design
La produzione di oggetti di derivazione naturale è un passo verso la sostenibilità, ma la strada è lunga e l’impegno deve essere sempre più profondo. In Salvatori sentiamo di dover restituire qualcosa alla natura, non solo di rispettare ciò che essa ci offre, ovvero la pietra. Per questo puntiamo alla circolarità della pietra.
Partendo da questo presupposto abbiamo lavorato a Romboo e Lithoverde®, due oggetti che rappresentano il nostro impegno verso la sostenibilità ambientale e la dedizione con la quale affrontiamo questa sfida.
Lithoverde® è la prima lastra in pietra naturale riciclata al mondo, composta al 99% da scarti della lavorazione del marmo e per l’1% da un legante naturale a base di soia. È il risultato di sei anni di ricerca, dal 2004, anno in cui abbiamo iniziato ad indagare su come poter riutilizzare gli scarti della lavorazione della pietra naturale, al 2010 quando abbiamo ricevuto il riconoscimento del Green Building Council statunitense per il contributo alla sostenibilità con il punteggio più alto nella scala LEED®, il sistema di valutazione degli edifici costruiti con l’impiego di materiali naturali.
Se la durata della materia tende all’infinito, l’oggetto di design è sostenibile
Come rendere un progetto di interior design sostenibile? Attraverso le scelte, prima di tutto. Ogni azienda ha il suo modo di intendere la sostenibilità. È fondamentale informarsi su come ogni realtà opera, su che processi utilizza e sulle normative del luogo in cui è localizzata. Sul tema dovrebbero essere particolarmente sensibili le realtà che si occupano di oggetti di interior design o lavorano nel campo della progettazione degli spazi abitativi: se i materiali di cui sono composti sono artificiali, il gap per raggiungere un impatto zero sarà maggiore.
Oltre alla circolarità, una caratteristica fondamentale del design sostenibile è la longevità dei materiali, ovvero la loro durata nel tempo. Un oggetto che ha bisogno di essere cambiato non è sostenibile per definizione perché se si butta, poi lo si deve sostituire con un altro che ha richiesto produzione di gas inquinanti nella produzione e negli spostamenti. Un oggetto di design che ha una vita infinita, invece, può dirsi ecologico perché nel tempo avrà ammortizzato il consumo necessario a produrlo e spostarlo.
Produzione e packaging: la sfida dell’eco design secondo Salvatori
Le aziende si possono impegnare in vari modi nel design sostenibile. In Salvatori si tratta solo la pietra, quindi è naturale la predisposizione alla comprensione e al rispetto del concetto di sostenibilità. La pietra è presente in natura nella stessa forma con cui diventa un prodotto finito a disposizione delle persone. Ma non basta: ecco perché Gabriele Salvatori si è impegnato per eliminare il superfluo da ogni processo in azienda, sia nella produzione degli oggetti di design, sia nell’imballaggio.
Essere sostenibili oggi significa concepire l’intero atto produttivo e distributivo in chiave green, eliminando il più possibile ogni minaccia all’ambiente. Ma ad oggi è impossibile perché certi processi sono fuori dal controllo dei produttori.
Uno di questi è l’imballaggio, in particolare quello degli oggetti fragili: il polistirolo è fondamentale per proteggerli, il problema è che spesso non viene riciclato nel modo corretto. Salvatori ha riflettuto a lungo su questo tema e si è impegnato per eliminare il polimero negli imballaggi: ora più del 40% dei prodotti Salvatori viene imballato con un sistema di cartone e carta riciclati. Il prossimo passo è condiviso con la Normale di Pisa: packaging edibili, vale a dire realizzati senza alcun tipo di sostanza chimica, ma solo di elementi esistenti in natura. Come la pietra, la materia del nostro quotidiano e del design sostenibile.
“Con le nostre collezioni vogliamo ridare dignità ad ogni singolo frammento di materia prima, lavorando con parsimonia ed evidenziando che non esistono materiali di prima scelta e materiali di scarto, ma tutto sta nella nostra capacità di utilizzare al meglio gli elementi che la natura ci offre.” - Gabriele Salvatori